YoVo 4
02/10/2021 – ∞
RizzutoGallery (Palermo)
La quarta Mostra YoVo coinvolge quattro artisti: il pittore Dimitri Agnello (Carrara, 1995) e tre scultori: Giuliana Barbano (Catania, 1992), Giuseppe Lo Cascio (Palermo, 1997) e Josef Ribaudo (Palermo, 1997). In un allestimento che ha interessato l’intera galleria, le grandi installazioni ambientali di Giuliana Barbano, Giuseppe Lo Cascio e Josef Ribaudo si sono intermezzate in maniera suggestiva alle opere pittoriche su carta e su tela di Dimitri Agnello. La mostra è stata curata da Daniele Franzella, docente di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
La mostra è stata ospitata in galleria dal 2 ottobre al 13 novembre 2021 ed è qui permanentemente disponibile online.
Artisti invitati
Giuliana Barbano
Catania (Italia), 1992
Giuseppe Lo Cascio
Palermo (Italia), 1997
Josef Ribaudo
Palermo (Italia), 1997
Opere YoVo 4
Viste dell’installazione
Novità e prossime Mostre
Iscriviti ora alla nostra Newsletter per ricevere le ultime novità e informazioni sulle prossime Mostre YoVo
YoVo 4
02/10/2021 – ∞
RizzutoGallery (Palermo)
La quarta Mostra YoVo coinvolge quattro artisti: il pittore Dimitri Agnello (Carrara, 1995) e tre scultori: Giuliana Barbano (Catania, 1992), Giuseppe Lo Cascio (Palermo, 1997) e Josef Ribaudo (Palermo, 1997). In un allestimento che ha interessato l’intera galleria, le grandi installazioni ambientali di Giuliana Barbano, Giuseppe Lo Cascio e Josef Ribaudo si sono intermezzate in maniera suggestiva alle opere pittoriche su carta e su tela di Dimitri Agnello. La mostra è stata curata da Daniele Franzella, docente di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo.
La mostra è stata ospitata in galleria dal 2 ottobre al 13 novembre 2021 ed è qui permanentemente disponibile online.
–
Testo di Daniele Franzella
Nel romanzo “Il commesso” di Bernard Malamud, Frank Alpine, un emigrante di origini italiane che aspira a diventare un assistente di bottega, raccontando la sua vita attraverso una enumerazione di errori e di obiettivi non raggiunti, esprime la sua rassegnazione in una frase che appare un elogio all’inettitudine: “Vicino è il massimo a cui arrivo”.
Al di fuori della traiettoria orientata al bilancio di una esistenza dentro la quale Malamud spinge il suo personaggio, e per converso anche il lettore, è il concetto di vicinanza e di prossimità, e per opposto quello della distanza e dell’affrancamento, che qui appare interessante. Non è la disfatta di tutti i propositi, appunto.
In quel “vicino come massimo” possiamo figurare un passaggio che comprende una serie di stadi posti ad una distanza crescente: il punto di arrivo, l’obiettivo cioè, è la natura delle cose stesse, ovvero, l’oggetto (e soggetto) che si manifesta davanti a noi nella sua concretezza.
L’avanzamento verso la comprensione di quel dato è un’attrazione inarrestabile verso l’edificio del conoscimento in cui risiede il realismo che l’epistemologia contrappone all’immaginazione.
Secondo Bachelard il realista è colui che “vede” la realtà e grazie a questo può riferire ciò che ha visto. In qualche modo può dunque rappresentarla nella sua pura oggettività trasparente e, quindi, nella verità.
E però il vicino è certamente una posizione che è ancora al di fuori del dato e che, piuttosto, si trova su una lunghezza fuori fuoco nell’asse che ci conduce dritti alla datità dell’oggetto e alla sua comprensione. È il quasi, il non ancora, l’ultimo checkpoint dove l’immaginazione può ancora astrarre la realtà; iI luogo dove poter affermare attraverso il “pensare fantastico” junghiano, il bisogno di fermarsi al di sotto del piano verbale, discorsivo, che imita la realtà attraverso immagini che spiegano la successione delle cose nella loro obiettività. Le immagini fantastiche, poetiche, non obbediscono a quella successione: non rivelano e non spiegano. Accennano.
Poste ad una distanza intermedia che oscilla tra astrazione e concretezza, avvicinandosi agli strati più antichi dello spirito umano quanto alla ragione che rileva il dato delle cose, le immagini sono il negativo dell’uno e dell’altro.
In un certo senso, all’immaginazione si chiede di fallire, di abdicare al dovere della razionalità; di guardare la realtà anche da vicino ma sempre attraverso un diaframma. Nessun ostacolo. Solo una posizione, il punto massimo, dove difendere la visione mutabile e soggettiva delle cose.